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Investigazioni affido minore su tutto il territorio nazionale/estero.
Tutte le attività di indagine sono documentate ed hanno validità in sede di giudizio.
In caso di coniugale l’affidamento dei figli è disciplinato dalle norme introdotte dalla Legge n. 54 dell’8 febbraio 2006. Il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.
Nel momento in cui un tassello si rompe o ci si trova di fronte ad un affido esclusivo e problematico con ripercussioni psicologiche negative, a carico del figlio, L’Agenzia IDFOX SRL private interviene, su incarico del genitore, a svolgere accurate indagini alla ricerca di elementi di prova utili all’autorità giudiziaria ai fini della ripartizione della potestà genitoriale.
La presenza di un nuovo compagno (o compagna) non deve turbare i figli nel loro rapporto con il genitore presso cui convivono. I genitori separati o divorziati non devono coinvolgere troppo il nuovo partner nei rapporti con i figli se questi vengono turbati dalla presenza di un estraneo accanto al padre o alla madre. Sicché, se i minori mostrano disagio nel rapportarsi al nuovo compagno del genitore con cui vivono, il giudice li può “trasferire” presso l’altro genitore.
A tale proposito si è infatti pronunciata la Cassazione civile, sezione I, con sentenza del 10 maggio del 2017 n. 11448.
Ciò che si può evincere, in definitiva, è che a prescindere dai mutamenti e dalla fluidità dei nuclei familiari, il fine principale è e deve essere quello di garantire la costituzione e il mantenimento di un ambiente sano nel quale vivere e crescere, a prescindere dalle scelte personali che i genitori possano intraprendere, puntando ad assicurare
Lasciare il figlio da solo a casa: è abbandono del minore?
Integra il reato di abbandono del minore, ex art. 591 c.p., lasciare il figlio minorenne da solo a casa per una mezz'ora? Facciamo chiarezza
* Abbandono del minore
* Abbandono del minore: cosa dice la Cassazione
* Conclusioni
Abbandono del minore
l''articolo 591 del codice penale, stabilisce che "Chiunque abbandona una persona minore degli anni quattordici, ovvero una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere cura, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni."
L norma impone il divieto di abbandono di determinati soggetti, i cd. soggetti deboli, che versano in particolari condizioni, da parte di chi è gravato dall'obbligo di garanzia, assistenza o cura verso gli stessi.
Il caso
Un uomo, padre separato e con una causa di affidamento pendente, ci contattava preoccupato per una vicenda penale che lo riguardava.
Egli, ci raccontava che aveva lasciato il figlio di 12 anni, quasi 13, in casa da solo, il tempo di fare una passeggiata al parco con il cane. Tuttavia, il padre prima di uscire lasciava un cellulare al figlio affinché potesse chiamarlo in caso di bisogno. Il bambino approfittava del telefonino che aveva in uso per chiamare la madre, la quale, preoccupata del fatto che stesse solo, ordinava al figlio di chiamare le forze dell'ordine al numero 113.
In seguito alla chiamata di cui sopra, è scattata la denuncia per il reato di abbandono del minore a carico di entrambi i genitori.
Abbandono del minore: cosa dice la Cassazione
La giurisprudenza in casi analoghi si è espressa più volte, condannando padri e madri, di aver riposto eccessiva fiducia nella maturità dei figli minorenni, lasciandoli da soli per andare al lavoro o per fare la spesa.
Difatti, la Cassazione ha sostenuto che: "rilevando ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo del delitto d'abbandono di persone minori esclusivamente la volontà dell'abbandono, la configurabilità del reato non è esclusa dalla convinzione del genitore che il figlio infraquattordicenne sia in grado di badare a se stesso o dalla circostanza che quest'ultimo sia affidato a soggetto non idoneo, come un coetaneo o un anziano privo del controllo di ordinarie situazioni di pericolo per l'incolumità propria e altrui" (Cass. sent. n. 9276/2009).
Conclusioni
Anche se la giurisprudenza è molto severa sul punto, l'uomo potrà senza dubbio difendersi sottolineando sia l'insussistenza della volontà di abbandonarlo sia il breve tempo durante il quale si è protratto l'abbandono del minore ma anche la maturità dello stesso.
Vedi Abbandono del minore nel nostro dizionario giuridico
Come è noto, la legge n. 54 del 2006 ha innovato profondamente la materia sull’affidamento dei minori, invertendo sostanzialmente il rapporto di regola ed eccezione tra il previgente affidamento congiunto ed esclusivo; la legge n. 54 del 2006, vista la valorizzazione del diritto alla bigenitorialità del minore, inteso come diritto ad un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori anche in caso di crisi della coppia, aveva introdotto con il comma 2 dell’art. 155 c.c. il criterio prioritario della valutazione dell’affidamento a entrambi i genitori, ovverosia dell’affidamento condiviso.
L’affidamento condiviso si distingue nettamente dal precedente affidamento congiunto: infatti l’affidamento condiviso prevede la ripartizione tra i genitori dei compiti di cura ed educazione dei minori, non essendo necessaria ovviamente la parità di permanenza dei figli con ciascun genitore né la dualità della residenza, mentre l’affidamento congiunto vede i genitori esercitare il loro ruolo assieme, a mani unite.
L’impianto della legge n. 54 del 2006 è stato sostanzialmente mantenuto dal d. legisl. n. 154 del 2013 che, in seguito alla riforma dell’istituto della filiazione, ha abrogato l’art. 155 c.c. sostituendolo con l’art. 337-ter c.c. La ripartizione dei compiti genitoriali si riflette nell’esercizio della responsabilità genitoriale che deve essere esercitata da entrambi (art. 337- ter, comma 3), anche se opportunamente la stessa norma prevede che il giudice possa stabilire che la responsabilità genitoriale venga esercitata separatamente per le questioni di ordinaria amministrazione; ovverosia, può essere concesso a ciascun genitore di adottare autonomamente le decisioni di natura routinaria.
Va sottolineato, inoltre, che l’art. 337-ter, comma 3, privilegia in materia di affidamento la soluzione concertata tra i genitori; infatti, il giudice deve prendere atto degli accordi dei genitori, purché non siano in contrasto con l’interesse superiore dei figli.
Investigazione Privata, Cosa accade se il riconoscimento di paternità è falso
Attestare il falso al momento della formazione dell’atto di nascita di un figlio o successivamente integra gli estremi di una condotta penalmente rilevante.
I figli nati da persone non unite in matrimonio tra loro al momento del concepimento possono essere riconosciuti dal padre e dalla madre. Con il riconoscimento i genitori trasformano il fatto della procreazione, il quale di per sé non è sufficiente a creare un rapporto giuridico, in uno stato di filiazione che, invece, assume rilievo dal punto di vista giuridico. Di conseguenza i genitori assumono nei confronti dei figli nati fuori dal matrimonio e riconosciuti, gli stessi diritti e doveri che hanno nei confronti dei figli concepiti durante il matrimonio. Può succedere però che tale riconoscimento non sia veritiero. Prendiamo ad esempio il caso di Tizio che ha una relazione sentimentale con Caia, una ragazza madre, il quale decide di riconoscere come sua la bambina che la donna ha avuto da una precedente relazione. In tale ipotesi cosa succede se il riconoscimento di paternità è falso?
È proprio di quest’argomento che ci occuperemo nel presente articolo. Prima però esamineremo in generale il riconoscimento dei figli di persone non coniugate.
Indice
* Riconoscimento di un figlio naturale: cos’è e chi può farlo?
* Qual è il procedimento per il riconoscimento?
* Cosa accade se il riconoscimento di paternità è falso?
* Il falso riconoscimento di paternità si può impugnare?
Riconoscimento di un figlio naturale: cos’è e chi può farlo?
Il riconoscimento è un atto formale con cui i figli nati fuori dal matrimonio possono essere riconosciuti dal padre e/o dalla madre anche se già uniti in matrimonio con un’altra persona all’epoca del concepimento [1].
Nel nostro ordinamento giuridico il riconoscimento è stato riformato dall’entrata in vigore della legge n. 219/2012 e del decreto legislativo n. 154/2013 che hanno equiparato lo stato giuridico di tutti i figli a prescindere dal fatto che i genitori siano o meno coniugati tra di loro. Tali normative hanno eliminato la distinzione tra figli naturali e figli legittimi, prima esistente, per cui oggi si parla più semplicemente di figli nati in costanza di matrimonio e figli nati fuori dal matrimonio. Tuttavia, mentre per i primi lo stato di filiazione si acquista automaticamente in virtù della nascita nel corso del matrimonio, per i secondi è necessario un atto di riconoscimento da parte di uno o di entrambi i genitori.
Il riconoscimento può essere fatto dai genitori congiuntamente o separatamente.
Se il figlio da riconoscere ha compiuto i 14 anni occorre il suo consenso al riconoscimento.
Se uno dei genitori ha già effettuato il riconoscimento, l’altro genitore che intende farlo, deve ottenere il consenso del primo, se il figlio non ha ancora compiuto i 14 anni.
Il consenso non può essere rifiutato se risponde all’interesse del figlio. Il genitore che vuole riconoscere il figlio, se l’altro genitore non ha prestato il proprio consenso, può rivolgersi al giudice competente il quale, assunta ogni opportuna informazione e disposto l’ascolto del minore, adotta eventuali provvedimenti temporanei e urgenti al fine di instaurare la relazione. Con la sentenza che tiene luogo del consenso mancante, il giudice adotta i provvedimenti opportuni in relazione all’affidamento e al mantenimento del minore e al suo cognome.
Il riconoscimento non può essere fatto se i genitori non hanno compiuto i 16 anni di età.
Qual è il procedimento per il riconoscimento?
Il riconoscimento di un figlio nato fuori dal matrimonio può essere fatto:
* nell’atto di nascita;
* in una apposita dichiarazione, posteriore alla nascita o al concepimento, rilasciata davanti ad un ufficiale dello stato civile;
* in un atto pubblico (ad esempio un atto redatto da un notaio);
* in un testamento qualunque sia la forma di questo [2]. Tale forma ovviamente dovrà provenire da un notaio o da altro pubblico ufficiale munito dei poteri di ufficiale di stato civile. Il riconoscimento operato mediante testamento produce effetto dall’apertura della successione, quindi, dal giorno della morte del testatore.
Una volta effettuato, il riconoscimento non può essere più revocato, neanche tramite testamento [3].
Possono essere riconosciuti anche i figli incestuosi, ovvero nati da genitori tra i quali esiste un rapporto di parentela o di affinità, previa autorizzazione del giudice avuto riguardo all’interesse del figlio e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio [4].
Cosa accade se il riconoscimento di paternità è falso?
Il soggetto che rilascia una falsa dichiarazione di paternità all’ufficiale di stato civile al momento della formazione dell’atto di nascita, incorre nel reato di alterazione di stato [5]. Ai fini della configurabilità del delitto la falsità deve essere “idonea a creare una falsa attestazione, con attribuzione al figlio di una diversa discendenza, in conseguenza dell’indicazione di un genitore diverso da quello “naturale” [6].
L’interesse tutelato dal legislatore penale è lo stato di famiglia, ovvero l’interesse statale a che i neonati trovino immediata ed efficace tutela contro le condotte che ne alterano la soggettività giuridica. Altresì, l’interesse tutelato è che i neonati non acquistino uno stato civile difforme da quello loro spettante in conformità dei dati costitutivi reali o in conformità della disciplina dell’ordinamento giuridico.
Per quanto riguarda il tempo in cui deve avere luogo la condotta criminosa affinché il delitto si possa dire perfezionato, la stessa deve avvenire nel momento in cui si forma l’originale dell’atto di nascita.
L’oggetto materiale del reato è il documento su cui abbia luogo concretamente la condotta criminosa e, in via mediata, il neonato di cui risulti alterato lo stato.
Relativamente all’elemento soggettivo è richiesta la sussistenza, in capo all’autore del falso riconoscimento, del dolo specifico, cioè della coscienza e volontà di attribuire al neonato uno stato civile diverso da quello che gli spetterebbe attraverso una falsa dichiarazione.
Il reato è punito con la reclusione da tre a dieci anni. Ai sensi dell’articolo 569 del Codice penale qualora ad essere condannato per il delitto in esame sia il genitore, trova applicazione la pena accessoria della perdita della responsabilità genitoriale.
Se la falsa dichiarazione di paternità viene resa in un momento successivo alla formazione dell’atto di nascita, il soggetto che la rilascia incorre in un delitto meno grave che è quello di falsa dichiarazione in atto dello stato civile [7]. La pena prevista è della reclusione da uno a sei anni. La reclusione non è inferiore a due anni se si tratta di dichiarazioni in atti dello stato civile.
Di recente la Cassazione ha precisato che l’elemento di discrimine tra le due ipotesi delittuose (reato di alterazione di stato e reato di falsa dichiarazione in atto dello stato civile) va ravvisato nel fatto che solo la falsità espressa al momento della dichiarazione di nascita è idonea a determinare la perdita del vero stato civile del neonato, mentre, quella intervenuta successivamente, altera, “ex post”, lo status correttamente acquisito in precedenza [8].
Il falso riconoscimento di paternità si può impugnare?
A norma dell’articolo 263 del Codice civile il riconoscimento di paternità può essere impugnato per difetto di veridicità, solo dando prova con ogni mezzo che il rapporto di filiazione non esiste, dall’autore del riconoscimento (nella specie il genitore, che può agire anche quando era consapevole che il riconoscimento non corrispondeva a verità), da colui che è stato riconosciuto o da chiunque vi abbia interesse (per esempio gli eredi dell’autore del riconoscimento o il vero genitore).
L’azione di impugnazione è imprescrittibile riguardo al figlio; da parte dell’autore del riconoscimento deve essere proposta nel termine di un anno che decorre dal giorno dell’annotazione del riconoscimento sull’atto di nascita; da parte degli altri legittimati deve essere proposta nel termine di cinque anni che decorrono dal giorno dall’annotazione del riconoscimento sull’atto di nascita.
note
[1] Artt. 250 e ss. cod. civ.
[2] Art. 254 cod. civ.
[3] Art. 256 cod. civ.
[4] D.Lgs. n. 154/2013.
[5] Art. 567, co. 2, cod. pen.
[6] Cass. Pen., sent. n. 47136/2014.
[7] Art. 495 cod. pen.
[8] Cass. Pen., Sez. VI, sent. n. 13751/2021.
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DI SEGUITO RIPORTIAMO ALCUNE SENTENZE:
Affidi illeciti, al via la Commissione d'inchiesta
Non solo il caso di Bibbiano che ha dato inizio alle indagini, adesso l'attenzione si sposta verso il Piemonte
* Affidi illeciti, partono i lavori della commissione
* Il caso di Bibbiano
* Affidi illeciti, l'attenzione si sposta in Piemonte
Affidi illeciti, partono i lavori della commissione
Il caso di Bibbiano ha aperto uno squarcio sul mondo degli affidi illeciti, sottolineando le difficoltà del sistema italiano nella gestione dei minorenni, ma soprattutto i danni indelebili alle tante famiglie vittime del sistema. Dai fatti emerse forte la necessità di istituire una commissione parlamentare i cui lavori, dopo un'inerzia durata mesi, sono in procinto di partire. Arriva un aiuto alle tante famiglie che si erano rivolte al Governo in cerca di risposte e per far chiarezza sui molti casi ancora in sospeso. A riportare l'attenzione sulla partenza dei lavori una nota dell'Associazione Nazionale Familiaristi Italiani.
Il caso di Bibbiano
Al centro dello scandalo da cui scaturisce l'inchiesta della Commissione parlamentare, c'è il comune di Bibbiano, in provincia di Reggio Emilia. Un'indagine cominciata quasi tre anni fa e che ha fatto emergere, fino ad oggi, una rete illecita nella gestione degli affidi di minori. L'indagine era scaturita da una serie di denunce dei servizi sociali contro genitori accusati di aver maltrattato i loro figli. Si scoprì che psicologi e assistenti sociali lucrano sugli affidamenti dei bimbi: manipolati dal punto di vista mentale, sottratti alle famiglie d'origine per approdare ad altre famiglie, le quali avrebbero incassato il contributo economico. Gli psicologi, invece, avrebbero guadagnato grazie alle sedute di terapia.
Affidi illeciti, l'attenzione si sposta in Piemonte
Sul tema è intervenuta dell'Associazione Nazionale Familiaristi Italiani: «Ora finalmente si farà piena luce su eventi poco chiari che hanno coinvolto bambini fragili ed inermi - afferma il presidente, avvocato Carlo Ioppoli - L'avvio della Commissione d'Inchiesta su affidi e case famiglia è una vittoria dello Stato italiano in primis che ora dovrà cominciare un percorso per fare luce e restituire verità, proteggere i bambini e le loro rispettive famiglie». Le ultime cronache segnalano invece che anche in Piemonte sono state registrate una serie di anomalie.
La denuncia arriva da Fratelli d'Italia che attraverso il suo leader, Giorgia Meloni, ha promosso un'indagine regionale, affinchè «i diritti della famiglia, i diritti dei bambini, i diritti dell'adolescenza sono inviolabili e non possono essere calpestati in nessun modo in una Nazione civile».
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La Corte di Cassazione condanna, in via definitiva, una donna che ha impedito all’ex coniuge di vedere il figlio minore.
La madre è stata riconosciuta colpevole di sottrazione di incapace (minore).
La sentenza è la n. 5902 del 6 febbraio 2013 con la quale i giudici di legittimità hanno rigettato il ricorso della donna contro la decisione del Tribunale che dichiarava il non doversi precedere nei confronti dell’ex marito per il reato di calunnia, per avere lo stesso denunciato la ricorrente per il reato di sottrazione di minore e mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice.
Dal punto di vista fattuale, la donna si era trasferita in un’altra città e con il bambino senza l’autorizzazione del padre e, quando l’uomo si è recato da lei per vedere il figlio (nel giorno prestabilito) la stessa si era rifiutata di farli incontrare non facendolo entrare in casa.
Tale comportamento ha indotto gli Ermellini a pronunciarsi in tal modo:
Il genitore, non potendo quindi esercitare il suo diritto e vedendosi menomato della sua potestà genitoriale, aveva inveito contro la donna, e quindi i due si erano reciprocamente denunciati.
La condotta della madre, avvisano i giudici, ha integrato il rifiuto di consegna al genitore avente diritto in quel momento, e pertanto di accuse del padre non sono calunniose: un comportamento di tal fatta, a maggior ragione che la donna aveva portato il figlio in un’altra città senza il consenso del padre, ben rappresenta una ipotesi di sottrazione di minore e di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice. Infatti, continuano i giudici, il coniuge affidatario ha l’obbligo di attivarsi correttamente ed efficacemente per consentire l’esercizio dei diritti riconosciuti all’altro genitore. E in mancanza di un atteggiamento di cooperazione si configura il reato.
L’abbandono volontario della casa familiare con i figli minori può comportare l’addebito della separazione
Nella fase iniziale della separazione, ovvero quando il rapporto culmina in una rottura insanabile, desta particolare preoccupazione l'atteggiamento del padre o della madre che si allontani in modo duraturo dal domicilio familiare insieme ai figli minori.
Compito dell'avvocato divorzista è quello di attivare, nel più breve tempo possibile, le procedure giudiziali idonee per far cessare un simile comportamento.
LA VICENDA AFFRONTATA DALLA CASSAZIONE CIVILE SENTENZA N.10719 DEL 08/05/2013
Il caso riguarda uno dei coniugi (moglie), che - volontariamente e senza alcun apparente e giustificato motivo - abbandonava la casa coniugale, allontanandosi insieme ai figli minorenni, ovvero quello che comunemente viene definito come abbandono del tetto coniugale della moglie con i figli.
Tale allontanamento comportava la sottrazione ingiustificata all'altro genitore (marito) di “ogni contatto per un protratto periodo di tempo con i figli”.
Nell’ambito del giudizio di separazione i Giudici di primo e di secondo grado, rilevavano la gravità del comportamento della moglie, pronunciavano l’addebito della separazione a suo carico, disponevano l'affidamento dei figli minori al padre, unitamente all'assegnazione della casa coniugale ed, infine, imponevano l'obbligo per la madre di versare a titolo di contributo nel mantenimento dei figli minori la somma di euro 250 mensili.
Nella specie la moglie non era riuscita a dimostrare una giusta causa che potesse giustificare l’allontanamento dalla casa (tetto) coniugale.
È bene ricordare che “l'allontanamento (della casa coniugale, ndr) prima della separazione, nella specie con i figli minori, al fine di escludere l'addebito, deve essere fondato su una giusta causa, il cui onere probatorio grava su chi realizza questa grave violazione dei doveri coniugali”.
ABBANDONO DELLA CASA (TETTO) CONIUGALE DA PARTE DELLA MOGLIE O DEL MARITO CON FIGLI MINORENNI PRIMA DELLA SEPARAZIONE - ADDEBITO
Il principio era già stato in passato enunciato dalla giurisprudenza di legittimità nel senso che "il volontario abbandono del domicilio coniugale è causa di per sé sufficiente di addebito della separazione, in quanto porta all'impossibilità della convivenza, salvo che si provi - e l'onere incombe a chi ha posto in essere l'abbandono - che esso è stato determinato dal comportamento dell'altro coniuge, ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata, ed in conseguenza di tale fatto”. (Cass. 17056 del 2007; 12373 del 2005).
IN CONCLUSIONE:
L’abbandono non concordato della casa (tetto) coniugale prima della separazione, insieme ai figli minori, da parte di uno della moglie o del marito, senza provare un giustificato motivo (es. intollerabilità della convivenza per violenze, etc…), può comportare sia l’addebito della separazione nei confronti del coniuge che si allontani dalla casa familiare, che l’affidamento dei figli e dell'abitazione all'altro coniuge.
Avv. Giuseppe Maniglia
Con la sentenza impugnata, la Corte d'Appello di Catania, confermava la pronuncia di primo grado (intervenuta il 14/6/2005), con la quale era stata pronunciata la separazione personale tra R.M. e M.F. con addebito a carico della R.M. ed era stato disposto l'affidamento dei figli minori A. (nata nel (OMISSIS)) e K. (nato nel (OMISSIS)) al padre, unitamente all'assegnazione della casa coniugale ed, infine, imposto l'obbligo per la madre di versare a titolo di contributo nel mantenimento dei minori la somma di Euro 250 mensili.
A sostegno della decisione di secondo grado per quel che ancora interessa, sull'appello proposto dalla R., veniva affermato:
a) sull'addebito, che la pronuncia era fondata sull'allontanamento dalla casa coniugale (c.d. abbandono del tetto coniugale della moglie, ndr) realizzato dalla R. unitamente ai figli minori, protrattosi per alcuni mesi senza dare notizie al coniuge e facendo perdere le tracce di sè, tanto che l'attuazione del provvedimento di affidamento disposto nel corso del giudizio di primo grado dal giudice istruttore, all'esito di consulenza tecnica d'ufficio (28/10/2003), poteva essere attuato soltanto molti mesi dopo (6/5/2004). In particolare, la Corte d'Appello aveva evidenziato che la R. aveva ammesso di non aver comunicato al marito l'intenzione di allontanarsi definitivamente e di avere approfittato delle vacanze estive per lasciare la propria casa con i figli senza dare notizie se non dopo alcuni mesi. Veniva inoltre precisato che era stato depositato dalla stessa ricorso per separazione in data (OMISSIS), notificato però soltanto il (OMISSIS). Si aggiungeva, infine, che non risultava provata una giusta causa del predetto allontanamento unilaterale, attuato senza il consenso ed all'insaputa del coniuge;
b) sull'affidamento, che la consulenza tecnica d'ufficio integrativa di quella già espletata in primo grado aveva univocamente concluso per la conferma della custodia paterna, fermo l'affidamento condiviso ad entrambi, con ampia ed esauriente motivazione cui la Corte si riportava;
c) sulle istanze istruttorie proposte dalla R., (relative alla convivenza del M. more uxorio con un'altra donna nella casa coniugale unitamente ai minori, nonchè alla circostanza di aver preventivamente informato il marito il (OMISSIS) di non volere tornare a casa, con indicazione del luogo ove si trovavano i bambini) formulate in secondo grado ed, infine, sulla richiesta di ascolto della minore A., che esse erano inammissibili per tardività ex art. 345 cod. proc. civ..
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso, affidato ad undici motivi
Nel primo e secondo motivo di ricorso è stata censurata sia sotto il profilo della violazione della norma processuale che sotto il profilo del vizio di motivazione la mancata ammissione dell'interrogatorio formale del M. e delle prove testimoniali, in quanto ritenuti nella sentenza impugnata tardivamente proposti. Al riguardo la parte ricorrente ha osservato che si trattava di circostanze sopraggiunte nel giugno 2004 dopo che erano maturate le decadenze del primo grado di giudizio, con conseguente unica possibilità di dedurle con l'atto di appello.
Per la parte relativa alla violazione di legge il motivo si chiude con il seguente quesito di diritto:
"In applicazione dell'art. 345 cod. proc. civ., comma 3, sono ammissibili in appello la prova testimoniale e L'interrogatorio formale edotti su capi relativi a circostanze indicate come verificatesi nel corso del giudizio di primo grado e dopo che siano spirati i termini per poter richiedere l'ammissione di questi stessi mezzi istruttori?".
Nel terzo motivo viene censurata sotto il profilo della violazione di legge l'omessa audizione della minore M.A., la quale alla data dell'ultima udienza tenutasi davanti alla Corte d'Appello aveva compiuto 14 anni. Al riguardo ha osservato la parte ricorrente che l'art. 155 sexies cod. civ., ai sensi del quale il giudice è tenuto a disporre l'audizione del minore che abbia compiuto gli anni 12 avrebbe imposto l'accoglimento di tale istanza.
Il motivo si chiude con il seguente quesito di diritto:
"Vero che, nel caso in cui sia chiamato ad assumere i provvedimenti previsti dall'art. 155 cod. civ., il giudice d'appello sia tenuto a pena di nullità della sentenza, all'audizione del minore, che abbia compiuto gli anni 12, cosi come previsto dall'art. 155 sexies cod. civ., in ogni caso e soprattutto se a tanto non si è provveduto nel giudizio di primo grado?".
Nel quarto motivo viene denunciata la violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. per essere la sentenza impugnata, nell'esame della domanda di addebito, incorsa nel vizio di ultra petizione nella parte in cui, ignorando la circostanza accertata dal Tribunale di Catania e non formante oggetto di censura in appello, relativa alla preesistenza di una condizione di separazione di fatto tra i coniugi M. - R., ha ritenuto non fornita dalla R. la prova che il rapporto era già compromesso da tempo.
Il motivo si chiude con il seguente quesito di diritto:
"Vero che l'applicazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato previsto dall'art. 112 cod. proc. civ., si applica nel giudizio d'appello, nel senso che è fatto diverto al giudice di porre a fondamento della decisione un fatto, dedotto come vero nella sentenza di primo grado, confermato dall'appellante e confermato implicitamente dall'appellato che chieda la conferma in ogni sua parte della sentenza impugnata?".
Nel quinto e sesto motivo la statuizione sull'addebito viene censurata sotto il profilo del vizio di motivazione per aver trascurato la dedotta e non contestata crisi coniugale in atto e la conseguente condizione di separazione di fatto tra le parti protrattasi per diversi anni, senza dare rilevo al fatto che l'allontanamento dalla casa coniugale era stato determinato da questa consolidata situazione e dopo aver depositato il ricorso per separazione;
Nel settimo motivo la statuizione sull'addebito viene censurata sotto il profilo della violazione di legge, in quanto assunta in contrasto con i criteri stabiliti nell'art. 146 cod. civ..
Al riguardo, la ricorrente ha osservato che l'allontanamento dalla casa coniugale era intervenuto solo dopo il deposito del ricorso per separazione e che i comportamenti ad essa attribuiti successivamente, quali il ritardo nell'esecuzione del provvedimento di affidamento dei figli minori al padre e la comunicazione successiva all'allontanamento della volontà separativa non potevano costituire violazioni dei doveri familiari integranti l'accoglimento della domanda di addebito, proprio perchè successivi al deposito di essa.
Il motivo si chiude con i seguenti quesiti di diritto:
"Vero che, una volta depositata la domanda per la separazione, il successivo allontanamento dalla residenza coniugale, anche se non accompagnato da ulteriori gravi motivi, non costituisce violazione degli obblighi derivanti dal matrimonio, ai fini della determinazione dell'addebito, previsto dall'art. 151 cod. civ., comma 2".
"Vero che il coniuge, che ha già depositato domanda di separazione, non realizza violazione dei doveri del matrimonio che giustificano l'addebito della separazione se comunica intempestivamente il proprio nuovo indirizzo?".
"Vero che non realizza violazione degli obblighi derivanti dal matrimonio chi, depositando domanda di separazione, allontanandosi dalla casa coniugale in compagnia dei figli minori, constatato il disaccordo con il coniuge sull'individuazione della residenza familiare, attende la decisione del Tribunale sulle istanze poste in ordine alla casa coniugale ed all'affidamento dei figli, tenendo con sè gli stessi?".
Nell'ottavo motivo viene censurata, sotto il profilo del vizio di motivazione, la statuizione relativa all'affidamento dei minori al padre. Al riguardo, la parte ricorrente lamenta che la decisione assunta dalla Corte d'Appello si fonda sull'errata premessa logica della sostanziale coincidenza di valutazione tra il consulente d'ufficio e quella di parte, invece del tutto diverse, e ritiene erroneamente che i minori abbiano raggiunto un adeguato equilibrio fisio psicologico non riscontrabile neanche alla luce della consulenza tecnica d'ufficio.
Nel nono motivo viene censurata sotto il profilo del vizio di motivazione l'omessa valutazione della domanda di assegnazione della casa coniugale (nell'ipotesi di conferma delle statuizioni relative all'affidamento dei figli minori) nei giorni di visita dei minori in Sicilia.
Nel decimo ed undicesimo motivo viene censurata sia sotto il profilo della violazione di legge che del vizio di motivazione la statuizione relativa all'obbligo di versamento di un contributo per il mantenimento dei minori quantificato in Euro 250 mensili, stabilito senza tenere conto della incidenza della sproporzione tra i redditi dei due coniugi e l'utilizzo esclusivo da parte del marito della casa coniugale. Il motivo contenente la censura di violazione di legge si chiude con il seguente quesito:
"Vero che nell'individuazione del soggetto obbligato al pagamento dell'assegno di mantenimento a favore dei figli e nella determinazione del detto assegno, il giudice applica il principio di partecipazione di ciascuno dei coniugi, proporzionale al loro reddito, considerando le risorse economiche di entrambi i coniugi e tiene conto dell'assegnazione della casa coniugale, considerato il titolo di proprietà vantato da ciascuno dei coniugi relativamente all'appartamento che costituisce la casa coniugale?".
Devono essere in primo luogo affrontate le eccezioni d'inammissibilità del ricorso formulate nel controricorso.
In primo luogo viene rilevato che l'atto di ricorso fotoriprodotto in copia e trasmesso a mezzo fax non reca in calce nè in altro punto la sottoscrizione autografa nè di colui che dovrebbe essere il difensore trasmittente nè del ricevente, risultando tale atto redatto su carta intestata ad altro studio legale. La L. n. 183 del 1993, art. 1, comma 1, lett. b), impone che l'atto trasmesso rechi la sottoscrizione leggibile dell'avvocato estensore e trasmittente e che tali elementi risultino dalla copia foto riprodotta.
In secondo luogo il difetto di sottoscrizione dell'atto da parte del difensore, costituisce un requisito richiesto espressamente dall'art. 365 cod. proc. civ., che deve sussistere sia nell'atto depositato che nella copia notificata, non essendo sufficiente la firma meccanografica. La mancanza della sottoscrizione rende assolutamente incerta la paternità dell'atto ed il ricorso conseguentemente inammissibile.
In terzo luogo, la procura risulta rilasciata su foglio separato spillato al ricorso privo di numerazione in ordine successivo con conseguente violazione dell'art. 365 cod. proc. civ., non essendo possibile riferire la procura all'atto di ricorso nè ritenerla valida non recando la forma della scrittura privata o dell'atto pubblico notarile.
In ordine alla prima eccezione deve rilevarsi che il ricorso teletrasmesso via fax reca la sottoscrizione del trasmittente nell'ultima pagina, nonchè quella avente il fine di certificare l'autenticità della sottoscrizione della parte conferente la procura speciale alle liti per il procedimento di cassazione. Tale sottoscrizione risulta del tutto leggibile. Peraltro secondo l'orientamento più recente di questa Corte "Con riferimento alla disciplina relativa all'utilizzazione dei mezzi di telecomunicazione tra avvocati in ordine alla trasmissione di atti processuali, la leggibilità della sottoscrizione del mittente è prescritta dalla L. 7 giugno 1993, n. 183, art. 1, non ai fini dell'esistenza o della validità dell'atto, ma della possibilità di considerare la copia ricevuta come conforme all'originale inviato con mezzo telematico, con la conseguenza che la mancanza di tale requisito ha rilievo solo nel caso in cui detta conformità venga posta in discussione. (Cass. 5883 del 2009) Inoltre, l'atto reca tutti i requisiti di validità richiesti dalla L. n. 183 del 1993, art. 1, secondo quanto affermato dal costante orientamento di questa Corte: Per effetto della L. 7 giugno 1993, n. 183, art. 1, comma 1 - che disciplina l'utilizzazione dei mezzi di telecomunicazione tra avvocati della stessa parte per la trasmissione degli atti relativi a provvedimenti giurisdizionali - nella presunzione, iuris et de iure, stabilita dall'art. 2719 cod. civ., prima parte, di conformità all'originale della fotocopia di un atto, se attestata da pubblico ufficiale, rientrano gli atti del processo trasmessi a distanza da un avvocato all'altro, se: a) L'avvocato trasmittente attesti la conformità della copia all'originale; b) sia l'avvocato trasmittente sia quello ricevente siano, congiuntamente o disgiuntamente, difensori della parte; c) l'avvocato trasmittente abbia sottoscritto in modo leggibile l'atto trasmesso e L'avvocato la fotocopia ricevuta e, se con lo stesso è conferita la procura alle liti, anche la sottoscrizione della parte sia leggibile (Cass. 9323 del 2004). Com'è agevole riscontrare dall'esame dell'atto, in calce ad esso vi è la dichiarazione di conformità sottoscritta dall'avvocato trasmittente e da quello ricevente entrambi difensori della parte ed infine la procura reca la firma del tutto leggibile della parte conferente seguita dalla sottoscrizione del difensore trasmittente. Nessuna censura ex art. 2719 cod. civ., è stata mossa all'atto teletrasmesso. Ciò, in conclusione, determina il rigetto della prima eccezione d'inammissibilità. Ugualmente da respingere è la seconda eccezione relativa all'insufficienza della sottoscrizione "meccanografica" nella copia notificata. Al riguardo, poichè, come già osservato, nessun rilievo di difformità all'originale è stato formulato dalla parte controricorrente, nessun difetto d'idoneità può essere rivolto alla sottoscrizione dell'atto teletrasmesso, non essendo, peraltro, necessario, alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte che la sottoscrizione dell'atto da parte del difensore e l'autenticazione della sottoscrizione della parte da parte del legale risultino anche dalla copia notificata.
(Cass. 16215 del 2006; 636 del 2007; 5932 del 2010).
Infine, la procura speciale in calce al ricorso non può ritenersi apposta su foglio separato al ricorso, attese le modalità di trasmissione dell'atto ma come componente dell'unico atto teletrasmesso. Peraltro, costituisce orientamento del tutto fermo di questa Corte quello secondo il quale anche la procura alle liti rilasciata su atto separato, ma materialmente legato al ricorso, ancorchè priva di data, abbia piena validità, potendosi il requisito dell'anteriorità, desumersi dalla copia notificata del ricorso stesso. (Cass. 29785 del 2008).
Passando all'esame del ricorso principale, i primi due motivi sono manifestamente infondati.
La sentenza impugnata rispetto alle istanze istruttorie formulate dalla ricorrente, non si è limitata a censurarne l'intempestività ma le ha ritenute non necessarie sulla base del consolidato principio secondo il quale l'assegnazione della casa coniugale non può che essere disposta in favore del genitore affidatario dei figli minori. Da tale premessa consegue la corretta valutazione d'irrilevanza delle prove per testi e per interrogatorio formale articolate dalla parte ricorrente anche alla luce della sentenza della Corte Cost. n. 308 del 2008 che ha fornito un'interpretazione costituzionalmente obbligata dell'art. 155 quater cod. civ. (introdotto dalla L. n. 54 del 2006, art. 1, comma 2) nella parte in cui stabilisce che il diritto al godimento della casa familiare cessa nel caso che l'assegnatario conviva more uxorio nella casa familiare. Secondo questa pronuncia, l'assegnazione della casa coniugale non viene meno di diritto al verificarsi degli eventi indicati dalla norma (instaurazione di una convivenza di fatto, nuovo matrimonio), rimanendo comunque subordinata ad un giudizio di conformità all'interesse del minore. Ne consegue l'inscindibilità dei provvedimenti di affidamento e assegnazione della casa coniugale e l'obbligata adozione come esclusivo criterio risolutore del conflitto dell'interesse del minore. Nella specie non risulta che la circostanza della convivenza more uxorio sia stata posta in correlazione con la lesione dell'interesse dei figli minori conviventi, mentre la decisione relativa all'affidamento è risultata centrata su un'ampia indagine tecnica relativa proprio alla valutazione di tale interesse.
Il terzo motivo deve ritenersi inammissibile per difetto sopravvenuto d'interesse essendo la figlia A. divenuta maggiorenne nelle more del giudizio e non risultando la richiesta di audizione formulata anche nei confronti dell'altro figlio ancora minore di età. Il principio trova puntuale riscontro negli orientamenti di questa Corte: "Quando, nelle more del giudizio di legittimità avente ad oggetto l'affidamento di figlio minore ad uno degli ex coniugi a seguito di cessazione degli effetti civili del matrimonio, sopravvenga la maggiore età del figlio, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse del ricorrente all'impugnazione". (Cass. 5383 del 2006).
Il quarto, quinto e sesto motivo sono manifestamente infondati. La situazione, preesistente all'allontanamento dalla casa coniugale, unilateralmente deciso dalla ricorrente, di "separazione di fatto" non risulta affatto accertata con valore di giudicato nel primo grado di giudizio, non essendo stata mai in discussione la coabitazione tra i coniugi prima del dedotto allontanamento volontario della ricorrente.
La dichiarazione di addebito, in entrambi i gradi di giudizio si è fondata sulla gravità di quest'ultimo comportamento, in quanto non solo realizzato all'insaputa del coniuge ma anche sottraendo all'altro genitore ogni contatto per un protratto periodo di tempo con i figli minori. A tale riguardo, la sentenza impugnata ha esaurientemente ed adeguatamente motivato in ordine alla mancanza della prova di cause giustificative pregresse di questo censurabile comportamento successivo.
Al riguardo, si deve rilevare che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, l'allontanamento (dal tetto coniugale, ndr), nella specie con i figli minori, al fine di escludere l'addebito, deve essere fondato su una giusta causa, il cui onere probatorio grava su chi realizza questa grave violazione dei doveri coniugali. Deve, infatti, osservarsi che "il volontario abbandono del domicilio coniugale è causa di per sè sufficiente di addebito della separazione, in quanto porta all'impossibilità della convivenza, salvo che si provi - e l'onere incombe a chi ha posto in essere l'abbandono - che esso è stato determinato dal comportamento dell'altro coniuge, ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata, ed in conseguenza di tale fatto. (Cass. 17056 del 2007; 12373 del 2005).
Peraltro nell'ipotesi in cui l'allontanamento (abbandono, ndr) riguarda anche i figli minori la prova deve essere molto più rigorosa e la situazione d'intollerabilità, anche ad essi riferita, deve essere specificamente ed adeguatamente rappresentata e dimostrata.
Il settimo motivo è manifestamente infondato. Il mero deposito del ricorso separativo non è idoneo a giustificare l'allontanamento unilaterale e non temporaneo dalla casa coniugale unitamente ai figli minori, dal momento che il cambiamento della residenza familiare legittimo solo quando sia frutto di una scelta condivisa, dovendo diversamente essere ritenuto una grave violazione dei doveri coniugali e familiari. Al riguardo, deve osservarsi che l'allontanamento dei minori dall'altro genitore si è protratto per un non modesto periodo di tempo ed è stato realizzato anche in violazione dei provvedimenti assunti nel corso del procedimento separativo.
Tale complessiva condotta, caratterizzata dall'ingiustificata imposizione unilaterale di una condizione di lontananza dell'altro genitore dai figli minori, iniziata prima della notifica del ricorso separativo e protrattasi anche dopo tale adempimento processuale è ampiamente valutabile ai fini dell'addebito, anche dopo l'effettiva instaurazione del contraddittorio in quanto, come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, anche il comportamento tenuto dal coniuge successivamente al venir meno della convivenza, ma in tempi immediatamente prossimi a detta cessazione può rilevare ai fini della dichiarazione di addebito della separazione allorché costituisca una conferma del passato e concorra ad illuminare sulla condotta pregressa (Cass. 17710 del 2005).
L'ottavo motivo è manifestamente infondato dal momento che la decisione sull'affidamento dei minori, adeguatamente motivata dalla Corte d'Appello si fonda su una motivata adesione alle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio e non, come indica la parte ricorrente, esclusivamente o prevalentemente sulla dedotta adesione della consulenza di parte con la consulenza d'ufficio.
Il nono motivo è manifestamente infondato perché l'assegnazione della casa coniugale è ancorata alla custodia dei figli minori in affido condiviso o all'affidamento esclusivo, ad uno di essi ma non all'esercizio del diritto di visita, come viene adombrato nell'illustrazione del motivo.
Il decimo ed undicesimo motivo sono anch'essi manifestamente infondati, dal momento che l'obbligo di contribuire secondo i propri redditi è posto a carico di entrambi i genitori e da tale obbligo non ci si può sottrarre soltanto perché titolari di una capacità di reddito inferiore a quella dell'altro genitore. Peraltro, occorre sottolineare che la modesta entità del contributo è stata determinata dal giudice del merito, con motivazione adeguata ed esauriente, proprio in virtù dell'adozione del criterio della comparazione e della proporzionalità tra i redditi dei due genitori.
In conclusione il ricorso deve essere respinto.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a pagare in favore della parte resistente le spese del presente procedimento liquidate in Euro 3000 per compensi ed Euro 200 per esborsi oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2013
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